Giovedì 21 giugno 2007, ore 20.30

San Clemente, Palazzo Daniele

MOSTRA DOCUMENTARIA SU FRANCESCO DANIELE

mostra a cura di
Imma Ascione, Giovanna Daniele, Pietro Di Lorenzo, Domenico Nicolas Migliore
allestimento di Carlo Artiere, Raffaele Bove, Gerardina Crispo, Elena Polito
addetto stampa Daniela Spadaio

in collaborazione con

Biblioteca Provinciale “Scipione e Giulio Capone” di Avellino

Associazione Culturale “Francesco Durante”

Il concerto di apertura del 21 giugno (festa europea della Musica) è anche l’occasione per la mostra documentaria, organizzata con l’Archivio di Stato di Caserta, su Francesco Daniele, storico ed erudito casertano (1740 – 1812), tra i più importanti del periodo in Italia.

Biografia a cura di Giovanna Daniele

Francesco Daniele nacque l’11 aprile 1740 a S. Clemente, piccolo villaggio presso Caserta, da Domenico Daniele e Vittoria De Angelis. Cominciò i suoi studi appassionati sotto la guida dell’abate Giuseppe Maddaloni e dell’illustre letterato Marco Mondo, insigne epigrafista. Ebbe maestri quali Ignazio Monaco e Natale Lettieri, dai quali apprese l’eloquenza e la filosofia.

Dotato di una vivace intelligenza, di passione per lo studio e di pronta memoria, venne presto inviato a Napoli dal padre per approfondire la conoscenza delle scienze e delle lettere, esortato a ciò proprio da Marco Mondo, che era solito frequentare la casa del Daniele.

Strinse amicizia con i maggiori esponenti della cultura napoletana quali Mazzocchi, Genovesi, Serao, i quali ravvisando in lui pronto e sottile ingegno e zelo allo studio cominciarono ad amarlo e si presero carico di erudirlo.

Fece rapidi avanzamenti anche nel campo della giurisprudenza sotto la guida di Giuseppe Carulli e Giuseppe Pasqual Cirillo ma presto abbandonò l’attività forense per concentrarsi sugli studi di filologia per i quali nutriva una sincera passione.

Nel 1762, a soli ventidue anni, raccolse in un volume le opere latine di Antonio Telesio, nobile poeta cosentino, con una lettera dedicatoria e la vita di Telesio scritta in latino. Nel 1765 diede alle stampe le opere di Marco Mondo venuto a mancare, dedicandole al marchese Domenico Caracciolo. Cominciò così a diffondersi in Italia e all’estero la fama del Daniele, che proseguì con alacrità i suoi studi, meritando di essere annoverato tra i primi uomini di lettere.

Nel 1766 fece ritorno a S. Clemente per prendersi cura delle sorelle e del fratello in seguito alla morte del padre. Gli impegni familiari non lo distolsero dalle sue letterarie occupazioni. Ristampò le Orazioni latine di Giambattista Vico e si dedicò agli studi storici e antiquari con particolare attenzione per la storia del regno di Napoli, l’origine delle sue città, e le antiche sue leggi e costumanze. Questo studio gli fruttò fama di valente archeologo ed erudito.

Spinto dal sincero desiderio di ridare lustro alle antiche glorie e valori del regno napoletano e di salvare dall’incuria e dall’abbandono le testimonianze dell’illustre passato, spesso andava in giro nei luoghi vicini osservando le numerose iscrizioni presenti sul territorio. Struggendosi dal desiderio di averle, per sottrarle a maggiori danni, cominciò ad acquistarle. Questo desiderio rimase vivo in lui fino alla sua morte. In breve tempo formò una ricca collezione di iscrizioni greche e latine e medievali, la maggior parte relative alla storia del regno, allestendo nella sua dimora di S. Clemente un ricco museo, a somiglianza di quello allestito dal Pellegrino nella sua casa di Casapulla. Alla sua morte furono inventariate «226 iscrizioni latine e greche» acquistate per 1500 ducati dalla Real Corte e trasferite poi nel museo napoletano.

Benché fosse un suo grande desiderio, Francesco Daniele non riuscì a realizzare la pubblicazione del suo museo lapidario. Così scriveva nel 1803 al Vermiglioni:

«L’epigrafia ha formato la mia passion dominante; onde ho potuto mettere insieme una copiosissima collezione di antichi marmi letterati; che se io arrivassi un giorno a gustare un poco di tranquillità vorrei pubblicar per le stampe; ma le nostre calamità son tali, e le mie particolari son tante, che appena so aprire il cuore a questa speranza».

Tra i reperti di gran pregio da lui raccolti merita di essere ricordato un mosaico di bella fattura trovato tra le rovine di una villa presso Teano Sedicino. Al centro del quadro sono ritratti quattro uccelli, uno dei quali ne tiene un quinto tra gli artigli. Egli fece ritrarre e intagliare in rame il quadro e ne intitolò la stampa alla Società degli Antiquari di Londra di cui faceva parte.

Il Daniele non si limitò solo a collezionare epigrafi ma sin da giovane si apprestò a comporne di sue, con piena conoscenza dei precedenti storici e delle particolari esigenze di tal genere letterario. Le epigrafi venivano spesso scritte su fogli volanti o stampate in particolari raccolte e diffuse soprattutto tra i suoi corrispondenti ai quali veniva chiesto un giudizio. Profondo conoscitore dell’epigrafia latina, il Daniele fa un abile uso di sigle e formule, conferendo a queste ultime nuovo vigore e integrandole magistralmente nel contesto dell’iscrizione. Gli stessi riferimenti eruditi al mondo classico non restano nelle sue composizioni vuoti orpelli ma ne divengono parte integrante, dando vita ad «un’epigrafia di rara bellezza, di squisita fattura e di difficilissima imitazione».

Legato da profondo affetto alla sua terra natia pubblicò nel 1773, sotto il falso nome di Crescenzo Espersi, due lettere in cui confutava i giudizi negativi espressi dal Capitano Gennaro Ignazio Simeoni, vendicando la gloria di quella terra di cui si reputò sempre figliuolo, dal Simeoni alquanto prostrata. La sua fama si sparse in ogni luogo e uomini illustri italiani e stranieri spesso si recavano nella sua casa di S. Clemente. Anche il re Ferdinando volle conoscerlo e gli dette in più occasioni prova della stima che aveva di lui. Per la sua attività di studioso non gli mancarono riconoscimenti ufficiali.

Nel 1778 diede alle stampe la dissertazione sulle Forche Caudine, concepita nella sua Villa di S. Clemente. Corredata di cinque bellissimi intagli (la pianta topografica e quattro vedute della valle caudina), questa edizione divenne rarissima perchè ne furono stampati pochi esemplari, mandati in dono soprattutto a letterati stranieri. L’opera fu ristampata nel 1781 a spese di Angelo Trani. Accompagnato da esperti nelle arti militari antiche e moderne, egli andò alla ricerca del luogo dove le milizie romane subirono la tanto nota sconfitta e lo individuò nella valle di Arpaia nel Sannio. Le ricognizioni in quelle valli gli costarono tanta fatica e gli causarono una malattia che lo ridusse quasi in fin di vita. La brutta esperienza venne da lui stesso ricordata attraverso l’iscrizione lasciata nella corteccia di un albero presso il villaggio di Forchia, vicino ad Arpaia. Avendo letto ed apprezzato la sua opera, gli Accademici della Crusca deliberarono di inscrivere il suo nome nel loro novero.

Conduceva una vita riposata e tranquilla nella sua villa, contento degli onori che gli erano dati dai suoi scritti, quando fu chiamato a Napoli dal marchese Domenico Caracciolo, ministro di Casa Reale, che lo nominò ufficiale di Segreteria e gli affidò la cura delle scienze e delle arti. Svolse questo compito egregiamente conferendo nuovo lustro alle antiche arti della pittura e della scultura e contemporaneamente raccolse ed ordinò le leggi dell’imperatore Federico II. Pubblicò il Codice Federiciano arricchendolo con la Storia Svevo-Siciliana, che narrava la vita e le gesta di quel principe, e con gli scritti del Gran Cancelliere Pier delle Vigne, che «tenne ambo le chiavi del cor di Federigo». Per molto tempo raccolse documenti e materiali per realizzare quest’opera difficile e importantissima perchè si concentrava su un periodo oscuro e controverso della storia. Ma la perizia che egli possedeva delle antiche memorie della nostra patria gli resero più agevole superare le varie difficoltà che gli si presentarono. Fu costretto però da una serie di impedimenti a tralasciare il lavoro che rimase incompiuto e che, cosa più grave, fu perso per sempre dopo la sua morte.

La regia Camera di S. Chiara stimò l’opera di alto valore e di pubblica utilità e ritenne che lo si dovesse nominare storiografo del regno, onore che fu di Giambattista Vico. Il re Ferdinando IV, concordando con il parere della Regia Camera, nel 1778 lo insignì del titolo di storiografo del Regno. Attendendo a questo incarico, nel 1782 si recò così a Palermo per individuare e descrivere i sepolcri dei principi Normanni e Svevi, conservati nel Duomo della città. Anche in questa città per i suoi modi e la sua profonda cultura conquistò la stima e l’affetto dei dotti di quella nobilissima terra e lasciò un segno del suo amore per le lettere, innalzando nella Chiesa di S. Agostino, a sue spese, un monumento in marmo con un elegante iscrizione in onore del defunto Onofrio Panvinio, illustre antiquario. Tornato a Napoli nel 1784 diede alle stampe l’opera.

La sua varia erudizione, la somma diligenza, la lucida capacità critica con cui trattò le materie, e l’impegno profuso per dar luce ad alcuni luoghi della nostra storia accrebbero la sua fama tra i dotti e gli portarono numerosi riconoscimenti ufficiali.

Già nominato nel 1782 Storiografo dell’Ordine Gerosolimitano fu poi annoverato per volere del re Ferdinando tra i quindici esponenti dell’Accademia Ercolanese. Desiderando il re levare dall’oscurità l’Accademia, istituita già da Carlo III, e conoscendo il grande valore del Daniele in campo archeologico, nel 1787 gli conferì la carica di segretario perpetuo. Tra i molti lavori per l’Accademia portò a termine l’ottavo volume delle Antichità di Ercolano.

Non deve destar meraviglia se un uomo di tanto sapere fu iscritto in molte e celebri accademie italiane e straniere (oltre a quella ercolanese e cosentina) come quella etrusca di Cortona, nella Fiorentina della Crusca, quella degli Antiquari di Londra. Nel 1788 l’imperatrice Caterina di Russia gli inviò il diploma d’accademico della Società di Scienze a Pietroburgo.

Ma a causa dei disordini che alla fine del secolo sconvolsero il regno ad un tratto si vide privo di uffici e stipendi. Egli non si perse d’animo e si dedicò alle lettere con maggior zelo. Si concentrò sullo studio delle monete captane, pubblicando nel 1802 il volume Numismatica Capuana, apprezzato dagli uomini di lettere per le notizie che se ne ricavano sugli antichi popoli campani e per la maestria con cui le monete sono riprodotte. Ristampò la Cronologia della famiglia Caracciolo di Francesco de’ Pietri corredandola di una prefazione e della vita del de’ Pietri, ricca di notizie rare.

Ritiratosi nella sua villa di S. Clemente durante il decennio francese ne fu richiamato da Giuseppe Bonaparte che, volendo risollevare le sorti dell’Accademia Ercolanese, da lui denominata alla francese Accademia di Storia e di Antichità e conoscendo la fama del Daniele lo nominò segretario perpetuo. Lo ricoprì di grandi onori volendolo come suo privato bibliotecario e direttore della stamperia reale. A lui si deve il rinnovato splendore dell’Accademia e la migliorata stampa dei libri. Fu confermato segretario dell’Accademia anche quando questa mutò il nome in Accademia di Storia e Belle Lettere e fu nominato cavaliere dell’Ordine delle Due Sicilie.

Oltre al museo delle iscrizioni e di monete, vasi, quadri e altri oggetti di pregio egli acquistò autografi di grandi letterati e libri di gran pregio che andarono a costituire la sua ricca biblioteca privata. Purtroppo dopo la sua morte tutto fu saccheggiato e nulla a noi è pervenuto.

La malattia che lo tormentò per dieci anni non spense il suo amore per gli studi né alterò la sua singolare bontà d’animo per cui da tutti era amato e rispettato. Condivise col Vico, col Mazzocchi e con l’Ignarra la sfortuna di vedere affievolirsi la sua lucidità mentale sul finire dei suoi giorni togliendogli la speranza di ottenere il Ministero di Stato, somma carica a cui egli ambiva. Nel 1812 fece ritorno alla natia S. Clemente sperando che l’aria della sua terra potesse giovare alla salute. Si spense il 14 novembre dello stesso anno. Con grandi onori le sue spoglie vennero condotte a Centurano dove fu sepolto nella Chiesa Parrocchiale.